Alchimia del conflitto
Trasformare ciò che ci blocca in una potente risorsa
Quando penso al mio lavoro e agli effetti di una costellazione familiare, mi viene alla mente la parola alchimia, ovvero la trasformazione di un conflitto, in noi o nelle relazioni con gli altri, in qualcosa di prezioso, in una potente risorsa.
La parola alchimia ci riporta all’antichità e all’arte di tramutare i metalli in oro. Il termine in particolare deriva dall’arabo alkīmyya composto da al e kīmyya “chimica” che a sua volta deriva dal greco khymeia e significa “fondere, colare insieme”. Il processo alchemico, insieme alla trasmutazione della materia, è un’esperienza di crescita profonda dell’alchimista e di coloro che sono coinvolti nel processo. Oltre ad una trasformazione visibile c’è anche un significato interiore relativo al movimento dell’anima. Proprio come l’effetto di una costellazione.
Allo stesso modo, infatti, durante una sessione di costellazione avviene sempre qualcosa di speciale e profondo: tutto ciò che c’è e che era bloccato in un conflitto, interiore o verso altri, si trasforma. Si impara a riconoscere un nuovo modo di vedere quel conflitto senza più respingerlo o allontanarlo. E l’alchimia risiede proprio nell’imparare a dare valore e attenzione a quel conflitto, perché lì scopriremo che risiede l’opportunità. Si tratta dell’opportunità di prendere una nuova coscienza e guardare al conflitto come parte di una storia più grande, che spesso affonda le radici nel vissuto del sistema familiare e di tanti altri prima di noi. Questo nuovo modo di leggere e vivere quel blocco o disagio è l’alchimia trasformativa che permetterà di portare pace a ciò che ostacolava, senza più coazioni a ripetere. Ma questo non è così scontato.
Il conflitto è una risorsa preziosa
Conflitto è ciò che non è in armonia in noi e nella nostra vita. La parola conflitto, a differenza di alchimia, spesso spaventa eppure ci appartiene più che mai. Siamo in conflitto, anche senza esserne consapevoli: tra passato, presente e futuro, tra una scelta e un’altra, tra polarità di sì e di no, con le persone che ci circondano. Ma conviviamo spesso in questa dualità che non è pacificata. Il conflitto è dunque spesso vissuto come una guerra che è in atto, senza tregua. Quante energie spese a restare nel conflitto! Ma non è tutto così negativo come sembra. Il termine conflitto deriva dal latino conflictu(m) “urto, scontro” derivato di confligere “combattere”. E come tutti gli scontri il conflitto produce energia, così come succede alle particelle atomiche. Un’energia creativa se usata e fatta confluire nel giusto modo.
Sul conflitto, se guardiamo alle origini, troviamo tutt’altro che qualcosa che divide e separa, bensì un’opportunità di fare insieme e una risorsa trasformativa e arricchente. Nel corso dei secoli illustri personaggi hanno cercato di descrivere il conflitto come risorsa: l’imperatore Marco Aurelio diceva che “è conflitto la vita, è viaggio di un pellegrino”, mentre Karl Marx diversi secoli dopo scriveva “non vi è progresso senza conflitto, questa è la legge che la civiltà ha seguito fino ai nostri giorni”. Inoltre, nei testi di Lucrezio e Cicerone il verbo rimanda alla possibilità di far incontrare, confrontare, riunire e avvicinare, questo perché il conflitto ha insita nella sua origine etimologica l’essere un incontro generativo tra realtà differenti.
Se guardiamo al mondo delle scimmie – un animale a cui sono molto legata e che è presente anche nel mio logo – i contatti che avvengono tra i membri di un branco dopo, e quindi anche grazie a un conflitto, sono movimenti di riconciliazione e consolazione. Questi contatti hanno la funzione di ristabilire le relazioni sociali e di confortare gli individui in stato di agitazione, per esempio le vittime di un’aggressione. Quindi il conflitto e la sua risoluzione sono parte integrante delle relazioni sociali, della loro pace e armonia per i singoli e per il clan.
Noi siamo parte di un sistema che va oltre la nostra individualità e ce lo spiegava bene Nelson Mandela nel novembre 2008. In Africa esiste il concetto di Ubuntu, il senso profondo dell’essere umani attraverso l’umanità degli altri.
In particolare Ubuntu è un’espressione della lingua bantu ed è una regola di vita, basata sulla compassione e il rispetto dell’altro: “Umuntu ngumuntu negabantu” io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo. Non è un caso che il saluto che si fanno reciprocamente le persone sia “sawbona”, ti vedo, a cui si risponde “sikhona” sono qui. Finché l’altro non mi vede io non esisto. Questo implica la necessità vitale di entrare in relazione e di mantenere armonia e ordine, grazie anche ad un conflitto. In ogni essere vitale e sociale (uomo o scimmia per esempio) c’è bisogno di preservare le relazioni.
Grazie all’integrazione delle esperienze di vita, della formazione professionale e degli strumenti che metto a servizio dei miei clienti, quello che accade nel mio lavoro è un’alchimia, dove si trasforma un proprio sentire, dove si sciolgono e si riconciliano conflitti interiori e relazionali, e dove la vita inizia a scorrere con una nuova forza e chiarezza coscienza. Come è possibile? Sciogliendo antiche fedeltà a memorie del sistema familiare che nel movimento della nostra anima ancora portiamo. Memorie inconsce che ancora si attivano e ritornano anche se hanno avuto origine e vita in un lontano passato.
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