Dal notaio, dall’avvocato, da un giudice arriviamo spesso con un conflitto. Non è facile per nessuno: né per chi è coinvolto in prima persona, né per chi viene accusato e spesso lo sente come un’ingiustizia, né per il professionista che si trova a dover decifrare un caso che è fuori dalla sua diretta esperienza. Certo, è il suo lavoro, ma ogni volta una storia nuova, un mondo nuovo nel quale entrare per sentire cosa c’è. Un nuovo ascolto per comprendere qualcosa che va ben oltre l’oggetto della controversia. Qualcosa di grande.
Ogni conflitto ha una coscienza, un’anima. Oltre ai fatti connessi all’accadimento, ci sono emozioni, memorie di storie antiche anche di altri, vissute come fossero proprie e ancora presenti, che spesso poco hanno a che fare con la controversia. Alcuni contenziosi sembrano senza soluzione, altri si risolvono con freddezza, come se nessuno ne fosse veramente coinvolto. A volte ci sono cause legali infinite, come se qualcuno fosse quasi innamorato della guerra. Per ognuno una fedeltà cieca alla propria storia e agli irrisolti familiari, che ancora oggi con gli stessi sentimenti e la stessa forza di una battaglia senza resa intervengono, vivi e presenti come fossero nostri.
Il conflitto guardato con il linguaggio dell’anima, insieme alla legge, trova la pace.
Da molto tempo Anna era in una battaglia legale con il fratello per l’eredità del padre. Un tema che le creava ancora molta ansia e dolore.
L’avvocato di Anna, sensibile al mio lavoro, mi ha chiesto di occuparmi di questo eterno conflitto per comprendere cosa si nascondesse dietro, quale il linguaggio dell’anima di cui fosse portatore. I due fratelli, formalmente in guerra per l’eredità, si stavano in realtà contendendo lo sguardo del padre, un uomo di potere, che guardava più ai risultati che ai sentimenti. Dai racconti di Anna era emerso che il padre aveva perso il fratello da piccolo per una malattia. Un lutto mai superato che lo ha reso arrabbiato e duro ma con un peso sul cuore mai riconosciuto. Ogni occasione di affetto e amore, come i figli, lo riportava a un’antica memoria dove amore è impotenza, paura e perdita. Per non sentire non “guardava” escludendo ogni sentimento. Rabbia e dolore diventavano sempre più grandi, adesso anche per Anna e suo fratello, in un ripetersi senza fine. Riconoscendo questa storia con il linguaggio dell’anima, un nuovo spazio di coscienza si è aperto. L’avvocato può gestire le formalità con fluidità e la relazione tra fratelli ha una possibilità di incontro.
Quante storie e destini restano ancora invisibili nella nostra vita?